Social Media e aziende: a che punto siamo? [Social Media Week Roma]

social media claudio vaccaro pavolini diegoli vincenzo cosenza e mirko lalli

All’interno della Social Media Week di Roma, martedì scorso sono stato invitato da Gianluca Diegoli (alias Minimarketing) nel “Salotto” BTO Educational e Fondazione Sistema Toscana a parlare di Social Media e aziende, insieme ad Antonio Pavolini, Vincenzo Cosenza e Mirko Lalli.
Ne è venuta fuori una bella chiacchierata (anche se un po’ poco “amplificata”) in cui si sono stati toccati diversi temi che provo a riassumere secondo la mia testa e la mia “pancia”.

1) PREVENIRE E’ MEGLIO CHE CURARE, MA ALMENO CURATI
Esistono due assiomi fondamentali e incontrovertibili:
a-Le aziende (come le persone), sbagliano per definizione: prodotti, processi, servizi…Il fail è sempre dietro l’angolo.
b-Il cliente oltre ad avere sempre ragione si lamenta SEMPRE e anzi, con i Social Media lo fa ancora di più e con molto più potere.
E’ impossibile realizzare un’azienda a “Critica Zero“, meglio aspirare a reagire a “Tempo Zero

2) GIVE TO GET QUESTO SCONOSCIUTO
Ad un’azienda che vuole “fare Social Media” (come spesso si sente) bisognerebbe rispondere alla Kennedy: non chiederti cosa i social media possono fare per te, chiediti cosa puoi fare per i tuoi clienti sui Social Media. La logica della “campagna” (paid media) non funziona, mai

3) PROXY AZIENDALE VS. IMPIEGATO PROXY
Un’azienda non può essere “aperta” al 100% sui Social se è poi al 90% chiusa al suo interno: i processi e l’organizzazione interna devono destrutturarsi (senza perdere il focus sul Business, anzi, per incrementarlo) aderendo alla natura stessa della Rete e incentivando la partecipazione dei dipendenti alla conversazione dell’Azienda sui Social. Ovvio che l’Employee 2.0 naufraga clamorosamente contro lo scoglio del Security Manager che chiude Facebook sul Proxy e di HR che vieta l’instant messaging

4) ESSERE PASSIVI NON FA MALE
L’azienda ha due modi per rapportarsi ai Social Media: uno passivo e l’altro attivo. Può “ascoltare” i Social, monitorandone gli umori dei clienti (non solo i propri!) reagendo prontamente in caso di critiche. Oppure può agire dettando l’agenda delle conversazioni, producendo conentuto ed engagement. In questo secondo caso occorre uno sforzo di tempi e costi che non tutte le aziende (ad esempio le PMI) si possono permettere: meglio essere dei bravi passivi che dei cattivi attivi (vedi prossimo punto)

5) LOW COST=BAD ROI
Il ROI delle attività sui Social Media si misura sul lungo termine. Va sfatato il mito del Social Media “low cost”, anzi, è vero l’esatto contrario: per avere risultati a breve-medio termine occorre investire di più in proporzione al paid media. Questo significa che per fare una campagna dai risultati immediati di visibilità e leads, è molto meglio investire in Adwords ed avere awareness sicura che investire in Social e rimanere delusi. La funzione del consulente qui è fondamentale: se la tua strategia è “prendere i soldi al cliente” si rovina il mercato, bellezza. Mixare è bello.

6) LA MANCANZA DI INVESTIMENTI E’ UN CONCORSO DI COLPA
Che la mancanza di investimenti in Social e più in generale sul digital sia un problema culturale è un fatto assodato, basta aver partecipato ad un qualunque IAB degli ultimi 7 anni per rendersene conto. Un’ulteriore prova è venuta proprio dal nostro evento alla Social Media Week: su 50 persone solo 3 erano di aziende. E’ sicuramente vero che c’è una responsabilità di consulenti e agenzie che dovrebbero trovare le metriche giuste e il linguaggio giusto per incentivare gli investimenti, ma è anche vero però che il mondo sta cambiando sotto ai nostri occhi da anni e le aziende italiane sembrano molto più ferme di quelle straniere. Quando suona la sveglia?

7) PRODUCT FIRST
Tra la pensione Di Sora Maria e Apple non c’è alcuna differenza: entrambe hanno un prodotto così vincente e di culto che potrebbero fare a meno dei Social. Per tutti gli altri vale la regola che il budget va speso prima sul prodotto e poi sulla comunicazione e la relazione.

Per ora mi fermo qui, bastano o arrivate voi ai classici 10 punti? 🙂

Photo credits: Smeerch

Claudio Vaccaro

Articolo di Claudio Vaccaro

Creo aziende di successo insieme a persone che condividono la mia visione, investo in startup contribuendo alla loro crescita e trasferisco valore con i corsi che tengo nelle più importanti business school italiane.

guest
11 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments
gluca
13 anni fa

aggiungo solo un punto: tutto sta diventando servizio -> il marketing dei servizi mette al centro le persone in front end -> il ruolo di queste persone con i social media diventa ancora più critico, perché sia loro che i clienti hanno sempre più armi di amplificazione di massa: ergo, per capire il social media marketing bisogna fare il propedeutico di marketing dei servizi.

Jerry Ferreri
13 anni fa

Non mi vengono altre considerazioni rilevanti che siano emerse durante il seminario.

C’è, tuttavia, una considerazione personale che mi porto dentro da martedì scorso: ma le aziende italiane che obiettivi si pongono rispetto ai social media e in generale rispetto alla comunicazione online, ammesso che se li pongano …?

Ho, infatti, l’impressione, sostenuta dall’esperienza e da alcuni spunti emersi durante il nostro incontro, che ancora oggi il marketing, quello strategico, non abbia ancora colto le opportunità offerte dal social web.

Il marketing manager, nel migliore dei casi, si misura con questi strumenti in modo tattico-operativo senza farli rientrare in una strategia più generale che discenda dalla fissazione di obiettivi di chiara ispirazione strategica.

Se le PMI, giustamente, hanno ben altre cose a cui pensare che riflettere sui nuovi paradigmi della web communication (ad ogni modo non farebbe loro male, anzi…), quanto meno possono sempre demandare ai consulenti e alle agenzie questa attività.

Ma le grandi aziende dovrebbero, invece, investire di più almeno sulla riconsiderazione del loro rapporto con i loro clienti, sulla relazione che esiste fra conversazione, reputazione e performance.

Se le aziende lo facessero si renderebbero conto che dovrebbero, di conseguenza, ripensare alla propria cultura aziendale, investire sulle persone e la conoscenza, adeguare le proprie competenze, l’organizzazione, rivedere i propri processi fino ad ottenere servizi e prodotti in linea con le aspettative dei clienti.

Naturalmente sono pochissime le aziende che sono in grado di cambiare innovandosi. Le altre si limitano a imitare o procedere per tentativi adottando i nuovi strumenti del social web senza cogliere la profonda rivoluzione che essi sottendono.

Corollario di questo ragionamento è che, a differenza delle PMI, le aziende di maggiori dimensioni dovrebbero smettere di fare affidamento su risorse esterne (consulenti, agenzie) procedendo a assumere quelle figure professionali, tipiche del nostro mestiere, che giudico essere essenziali per poter ricalibrare il marketing in un ruolo da pivot collegato al resto delle funzioni aziendali che, di conseguenza, dovranno essere ripensate per essere “collegate”, a loro volta, internamente ed esternamente, per permettere all’intera azienda di ascoltare e corrispondere in modo più efficace con i propri clienti, uno per uno.

Claudio Vaccaro
13 anni fa

@gluca: verissimo…quindi possiamo dire product/service first 😉

@Jerry: complimenti, lucidissima e completa analisi. Hai colto il punto cardine: troppa tattica e poco approccio strategico. Tempi per un ROI, modalità operative e costi sono completamente diversi.

trackback

[…] corso delle altre giornate, sono emersi altri spunti interessanti, tra cui il rapporto tra i Social Media e le aziende e una ricerca condotta da FreeDataLabs sui Trend della rete nel 2011. ShareThis var […]

trackback

[…] sunto “di pancia” dei temi trattati è stato fatto da Claudio Vaccaro nel suo post Social Media e aziende: a che punto siamo? [Social Media Week Roma] su Socialware, dove in 7 punti ha riassunto in maniera chiara ed esaustiva tutti gli argomenti trattati. Anzi, vi […]

trackback

[…] seguito il video realizzato da Sanny, mentre per altri spunti di riflessione vi rimando ai post di Socialware, Tiragraffi e […]

Aureliano d'Agazio
12 anni fa

Ciao Claudio,

solo un piccolo spunto vissuto, se può servire.

Man (la piccola multinazionale di cui sono ad) negli ultimi mesi sta incontrando grande sensibilità da parte delle Aziende che incontra, c’è forte interesse ed anche diffidenza e paura. Noi investiamo tantissimo nell’educazione del cliente, quando ancora non lo è: dedichiamo la fase di acquisizione a cercare di demistificare quello che facciamo. Sarà che l’hype ha in sé l’obiettivo di evocare, ma il tam tam genera anche barriera. Fare questo è molto oneroso finanziariamente, soprattutto per le strutture più giovani, ma io consiglio di farlo: senza un Cliente consapevole, nessuna attività può riuscire, soprattutto sul lungo termine.

Claudio Vaccaro
12 anni fa

@Aureliano verissimo, io sono addirittura dell’idea che in certi casi sia necessario dire no o “meglio non così”, spingendo i Clienti a fare scelte strategiche e non basate sulla “moda” o il “sentito dire”. L’attività della consulenza risiede anche nella messa a fuoco puntuale dei reali obiettivi del cliente, mostrando quali sono le attività che più concretamente aiutano a realizzarli.

Aureliano d'Agazio
12 anni fa

@Claudio – Hai perfettamente ragione, anche io dico ai Clienti, a volte (e a malincuore), che se non ci sono le condizioni necessarie ad una azione che riesca a centrare gli obiettivi condivisi, preferiamo attendere che vi siano. Nel rispetto del ruolo di partner che ci diamo.

Marketingpower
10 anni fa

Ciao,

sicuramente il punto sei trattato nella discussione è quello a cui bisognerebbe dare l’attenzione maggiore perché è un problema con cui le aziende italiane devono fare i conti e devono farlo anche in breve tempo se si vuole essere competitivi a livello internazionale!E’ incredibile che su 50 persone solo tre erano di aziende…

chloe tania sione finau

If you are on arrival management supplements or steroids, you may even have got a greater risk of getting a genital candida
albicans. According to a study conducted in a Japanese village,
vitamin A present in these eatables make them stay young and
live longer. Learn how to apply these tanning
products and you can show off your beautiful tanned
appearance this summer.

my web-site: chloe tania sione finau

© 2020 Claudio Vaccaro. All rights reserved.